Cosenza, dove il pensiero si fa poesia: il lascito di Umile Francesco Peluso

Nel grembo antico del centro storico di Cosenza, presso il Museo dei Brettii e degli Enotri, il 9 dicembre si terrà la presentazione della raccolta “Dolci versi io cercavo ancora nei miei pensieri” (Doxa Editrice), un volume che seleziona l’intensa produzione poetica di Umile Francesco Peluso, senatore e figura indimenticata della cultura calabrese.

Di Anna Maria Ventura

Nel grembo antico del centro storico di Cosenza, là dove il Museo dei Brettii e degli Enotri custodisce miti, manufatti e memorie come un cuore che non ha mai smesso di pulsare, il 9 dicembre si accenderà una luce fatta di versi, affetti e ritorni. A risplendere sarà la voce di Umile Francesco Peluso, senatore e poeta, figura indimenticata della cultura e della vita pubblica calabrese.

La sua presenza, oggi, non è più una presenza fisica: restano i suoi versi, già tutti pubblicati, frammenti di un percorso umano e spirituale che continua a parlare con limpidezza e forza.

Da quella vasta produzione poetica è nata la raccolta, “Dolci versi io cercavo ancora nei miei pensieri”, Doxa Editrice, che verrà presentata proprio il 9 Dicembre presso il Museo dei Brettii e degli Enotri. Un volume che seleziona e riunisce alcuni dei suoi testi più intensi, presentati oggi in una veste rinnovata e accompagnati da un’ampia e preziosa introduzione critica di Antonio D’Elia, Presidente dell’Accademia Cosentina.

Il suo saggio, rigoroso e partecipe, non solo chiarisce le linee portanti della poetica di Peluso, ma ne restituisce l’immagine autentica: quella di un uomo per cui la parola era un atto morale, un luogo della memoria e una forma di dedizione alla vita.

È così, attraverso i suoi versi e attraverso lo sguardo critico di D’Elia, che Peluso ritorna: non come figura commemorata, ma come voce viva.

È qui, tra pietra e storia, che si incontrano vita pubblica e vita dell’anima. Peluso, uomo delle istituzioni e del pensiero, riappare nella sua veste più intima: quella del poeta che sfoglia il mondo con lo sguardo di chi ne conosce la fatica ma anche la grazia. Nella sua figura, salda, riflessiva, eppure capace di abbandonarsi alla delicatezza del verso, si riconosce quella generazione che ha abitato la politica come servizio e la parola come dono. Una presenza che oggi continua grazie all’opera della figlia, Myriam Peluso, Presidente dell’Associazione “Le Muse Arte”: filo discreto che riannoda la memoria paterna e la restituisce alla comunità con la cura affettuosa di chi custodisce un’eredità non solo familiare, ma culturale.

Sarà lei, insieme agli altri relatori, a dare corpo e voce all’opera del padre, mentre Antonietta Cozza introdurrà una serata che vuole essere più di un incontro: un omaggio, un ascolto collettivo. I saluti istituzionali del sindaco Franz Caruso apriranno una conversazione che proseguirà con gli interventi dell’on. Franco Ambrogio, del prof. Giuseppe Cristofaro, del prof. Giuseppe Trebisacce e dell’on. Massimo Veltri, ognuno chiamato a illuminare un volto diverso dell’autore e del suo viaggio poetico.

La raccolta “Dolci versi io cercavo ancora nei miei pensieri” rivela un Peluso sorprendente: un poeta che non teme la solennità e che parla con una sincerità limpida, a volte antica, sempre necessaria. Poesie come

“Dedica” fino a “Annus Mirabilis, “Sublimità celeste” e “Resurrezione”, per citarne solo alcune, compongono una geografia sentimentale e morale che attraversa amore, guerra, giovinezza, spiritualità, rinascita.

Nella poesia introduttiva, “Dedica”, Peluso setaccia il tempo come chi cerca tra la sabbia scintille preziose. I “dolci versi” sono frammenti dell’infanzia, della prima emozione amorosa, di uno sguardo che accende la vita.

Ma questo filo tenero si spezza quando irrompe la guerra: un ricordo che Peluso restituisce con durezza e verità, evocando la violenza come un tornado che offende l’innocenza del mondo.

Eppure, il poeta compie un gesto sorprendente: raccoglie i suoi versi come un “mannello” e li posa idealmente su tombe lontane, richiamando Agar e Ismaele nel deserto. Un’immagine di pietà universale che riporta la poesia alla sua funzione originaria: lenire, dare senso, resistere al male.

In questi versi si avvertono echi profondi.

La memoria biblica richiama Ungaretti, nella capacità di condensare la storia in un’immagine assoluta.

La nostalgia composta dialoga con Cardarelli.

La violenza della guerra richiama la linea di Sereni e dei poeti civili del Novecento.

La purezza dello sguardo riecheggia la semplicità aurorale di Saffo, la trasparenza di Catullo, la misura morale di Virgilio.

Peluso non imita: attraversa questi mondi e li fa propri, con una voce riconoscibile, integra.

In “Annus Mirabilis Nonagesimus Vitae meae” troviamo un Peluso novantenne capace ancora di stupirsi.

La donna a cui si rivolge è musa e presenza salvifica: l’amore diventa strumento di elevazione, un “desio” che richiama l’amore dantesco, la tensione platonica e la dolcezza di certi lirici del Novecento come Cecilia Meireles o Sandro Penna, dove l’amore è stupore e leggerezza insieme.

In “Omnia vincit Amor

et nos cedamus Amori”

(Virgilio Ecl. X 69)

“Sublimità celeste

L’anima mia anela,

felicità che inciela

nostro corpo mortal”,

la musicalità regna sovrana: una lirica che sembra rinascimentale, ma che non rinuncia alla verità del desiderio contemporaneo. La donna-Rosa è balsamo, paradiso, ristoro: figura classica dell’amore come salvezza.

“Resurrezione” è forse la poesia più rivelatrice della raccolta.

Peluso confessa di aver perso la poesia, sepolta da “inverni perenni”: immagine perfetta per dire il peso del dovere, della vita pubblica, del silenzio interiore. Ma l’amore riaccende la fiamma.

Gli occhi della donna, “Soli di Giovinezza”, diventano l’origine di una vera e propria resurrezione poetica.

Versi così uniscono la sensibilità classica di D’Annunzio, nelle immagini luminose, alla profondità sentimentale di Neruda o di alcuni contemporanei che concepiscono l’amore come energia trasformativa.

Il saggio critico di Antonio D’Elia, Presidente dell’Accademia Cosentina, è un contributo fondamentale: chiarisce l’orizzonte interiore e culturale di Peluso, ne individua la continuità con la tradizione classica, e mostra come il poeta abbia potuto trasformare la propria esperienza storica, affettiva e morale in un canto universale.

D’Elia legge Peluso come un autore che non appartiene a un’epoca, ma a una idea di poesia: quella che non rinuncia alla nobiltà della parola, alla centralità della memoria, alla responsabilità dell’uomo.

E così, tra le sale del Museo dei Brettii e degli Enotri, la voce di Umile Francesco Peluso ritornerà: non come un’eco del passato, ma come una presenza che continua. Ritornerà nei suoi versi, nei gesti di chi li custodisce, nella memoria di una comunità che riconosce nella sua poesia un frammento della propria storia.

Cosenza, Umile Francesco Peluso

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Torna in alto