Le posizioni esternate alla stampa da alcuni Amministratori delle Serre vibonesi, relativamente la possibilità di traghettare le proprie Comunità dalla Provincia di Vibo a quella di Catanzaro, hanno aperto a una serie di interventi della Politica e della società civile sulla tematica. L’argomento, senza dubbio, rappresenta un nervo scoperto e non certo riconducibile alla sola area dell’Istmo e delle Serre.
In tutta onestà — ci sia consentito — quella dell’autonomia territoriale, fino a un lustro fa, era diventata lettera morta. Poi, l’intuizione del Comitato Magna Graecia: non già pensare a nuovi Enti intermedi, ma una rimodulazione, equa e coerente, degli attuali assetti amministrativi regionali. Una lettura geopolitica degli ambienti calabresi, fondata su aree a interesse comune e omogeneità territoriali. I requisiti fondamentali, altresì, che dovrebbero stare alla base della costituzione degli ambiti vasti e che il deviato regionalismo calabrese ha sistematicamente ignorato.
Invero, le posizioni del Comitato non sono state dettate dell’estemporaneità. Al contrario, hanno sviscerato risultati frutto di studi scientifici e di ricerca sociale. Vieppiù, hanno analizzato, ponderato e descritto un metodo che darebbe lustro e dignità a ogni contesto intermedio della Regione. Non è un caso, infatti, che oggi molti si ispirino, nel tentativo di risolvere annose questioni di carattere territoriale, all’idea Magna Graecia. D’altronde, non rappresenta un mistero che le banali e impalpabili ripartizioni provinciali degli ultimi decenni abbiano lasciato le richiamate questioni del tutto insolute, se non addirittura peggiorate.
La tripartizione storica: un sistema che ha generato processi di centralizzazione a scapito delle aree periferiche
Il vecchio inquadramento calabrese della tre Province storiche (CZ-RC-CS) aveva dimostrato tutti i suoi limiti già all’indomani dell’avvento della Regione. Il riparto dei fondi destinati alla nascita del regionalismo, come apparato dello Stato, aveva generato la proliferazione di aree di figli e aree di figliastri. Il vecchio Pacchetto Colombo rappresentò lo specchietto di tornasole di una Regione sostanzialmente divisa a tre teste.
E, mentre Catanzaro e Reggio litigavano per il mantenimento dello status di Capoluogo regionale, Cosenza si inseriva nel dibattito facendo man bassa di tutto. In quel marasma istituzionale le aree che fino ad allora avevano interpretato il vero motore economico della Regione (prima fra tutte il polo industriale Crotonese) iniziarono un lento declino, diventando sempre più marginali rispetto ai consolidati sistemi centralisti.
Crotone, il Vibonese, la piana di Gioia e la Sibaritide furono relegate a periferie di Catanzaro, Reggio e Cosenza. Lamezia, Castrovillari, Paola, invece, si inquadrarono in un rapporto succursale con i relativi Capoluoghi. Risultato? Ciò che oggi è sotto gli occhi di tutti: mugugni, lamenti, spoliazioni diffuse di servizi e status amministrativi presenti solo nelle nomenclature, ma a siderali distanze dalla percezione reale dei relativi ambiti.
Inutile pensare a nuove Province. Serve un ridimensionamento degli ambiti vasti, rispettando le omogeneità territoriali
In un contesto come quello calabrese, già eccessivamente provato dalla risicata condizione demografica della Regione, pensare all’istituzione di nuove Province sarebbe un’idea folle ancor prima che inattuabile. Tuttavia, le spinte autonomiste provenienti dal contesto sibarita e dagli ambienti centrali della Regione meritano di essere prese in debita considerazione. Certamente, pensare di poter risolvere un problema come quello delle autonomie — che non è sentito solo nella piana di Sibari, ma impatta un po’ tutto il tessuto regionale —, con l’istituzione di nuovi Enti, rappresenterebbe soltanto un binario morto. Piuttosto, è la Politica regionale che dovrebbe farsi carico di trovare una soluzione che guardi a una rinnovata mappatura della Regione.
Non si può lasciare un tema del genere al chiacchiericcio social e a ragionamenti campanilistici e di pancia che, a oggi, hanno generato solo arretratezza, miseria e involuzione culturale. Il riassetto delle Province e più in generale degli Enti immediatamente sottoposti alle Regioni, dovrebbe essere lo zenit dell’agenda politica di Classi Dirigenti che aspirino a considerarsi coerentemente europee. Va da sé che l’attuale condizione calabrese imponga, per una ottimizzazione della gestione territoriale, una ripartizione organica finalizzata a inquadrare la Regione come area da settorializzare in quattro ambiti: Nord Ovest, Nord Est, Centro e Sud.
Ognuno dei richiamati ambienti geografici godrebbe di un’estensione territoriale e demografica che consentirebbe una declinazione coerente e strutturata dell’intero Sistema Calabria. Intanto, i 4 contesti territoriali sarebbero molto simili fra loro. Quanto detto, inoltre, consentirebbe di equiparare ogni ambito con criteri di pari diritti e pari dignità istituzionale. Chiaramente, l’impianto immaginato, dovrebbe fondarsi sulla esistenza di uno o più sistemi urbani a riferimento geopolitico dell’intero contesto.
L’asse Cosenza-Rende da un lato e quello di Corigliano-Rossano e Crotone dall’altro consentirebbero una organizzazione ottimale dei due ambienti nord. Le città di Catanzaro, Lamezia e Vibo, potrebbero inquadrarsi come chiave di svolta per immaginare la nascita di un contesto metropolitano, diffuso e policentrico, tra l’area dell’Istmo e quella delle Serre. Reggio-Villa, Gioia e Locri-Siderno, completerebbero coerentemente le polarità di riferimento nel quadrante geografico dello Stretto.
Le descritte Aree Vaste godrebbero di una demografia compresa tra i 400 e 500mila abitanti ciascuna. Ognuno dei contesti avrebbe competenza diretta sulle due Aree Interne comprese nei rispettivi ambiti. Savuto e Alto Tirreno-Pollino per quanto riguarda Cosenza; Jonio Federiciano e Sila Graeca-Marchesato per l’Arco Jonico; la Presila Piccola e le Serre per l’area centrale; l’area Grecanica e quella Aspromontana per l’ambiente Sud. Un inquadramento fedele, quindi, a quelle che sono le raccomandazioni e le disposizioni europee in termini di gestione degli ambiti vasti. Quattro ambienti intermedi che rilancerebbero l’apparato burocratico calabrese.
Vieppiù, riformando la Regione nel suo impianto e superando una visione centralista che l’ha, storicamente e innaturalmente, suddivisa a tre teste; anche, successivamente la istituzione delle due impalpabili Province costituite nel ’92.
Avviare campagne di sensibilizzazione per favorire i processi di Unione e Fusione dei Comuni
Chiaramente, non basterà la sola riorganizzazione degli ambiti vasti a individuare questa Regione come contesto efficiente e sistematico. Una popolazione di circa 1.8Milioni d’abitanti e una parcellizzazione municipale di 404 Comuni impongono una riflessione attenta e accurata. Da questo punto di vista, il grido d’allarme proveniente da alcuni Amministratori della Locride non è da sottovalutare. Anzi, una Politica attenta dovrebbe suffragare e sostenere un dibattito volto a ottimizzare il numero delle Municipalità regionali portando l’attuale media abitativa — di poco superiore ai 4000 ab. circa — ad, almeno, un inquadramento urbano composto dal doppio degli abitanti.
Non già, tuttavia, calando dall’alto progetti come si è malamente fatto nel recente tentativo di sintesi amministrativa in val di Crati. Piuttosto, accompagnando le popolazioni calabresi verso un processo di consapevolezza e crescita sociale non più procrastinabile. In quest’alveo, superando sterili e inutili difese campanilistiche, bisognerà riprendere l’argomento della fusione a Cosenza.
A ruota, dovrebbero seguire le sintesi amministrative della Sibaritide (grande Sybaris), del Crotonese (grande Kroton), della Locride (la nuova Epizefiri), di Vibo (la nuova Valentia) e della Piana di Gioia. Senza dimenticare le fusioni tra piccoli Comuni in ognuna delle Aree Interne comprese nella mappatura regionale. Laddove i processi di fusione risultassero inattuabili, un Establishment responsabile dovrebbe invogliare processi di unione finalizzati alla ottimizzazione e controllo unitario dei servizi di base tra Comunità. Solo così la Calabria potrà risalire la china e avviare un processo di revisionismo storico che la inquadrerebbe come fulcro indiscusso del nuovo ambiente geopolitico euromediterraneo. Vieppiù, la consacrerebbe come porzione integrante del nuovo ecosistema geografico nella Macroregione Mediterranea di prossima costituzione.
Ogni altro minuto passato a cincischiare, proponendo progetti e visioni superate dal tempo e dai fatti, contribuirà ad affievolire il peso politico di questa Regione rispetto ai macrocontesti europei. Avviarci a narrare una Calabria che rappresenti realmente il paradigma di una terra straordinaria, rimettendo al centro i cittadini e suffragando le loro istanze di cambiamento ed emancipazione, dovrebbe essere un imperativo. Il momento delle agognate riforme strutturali, è adesso. È necessario osare! Non c’è più tempo da perdere.

Sandro Fullone
Domenico Mazza












