Andrà in scena domani sera al Cafè Librairie lo spettacolo “Momorie sulla strada del ritorno” di Francesco Cangemi e Giuseppe Bottino
Cosenza (25-03-2014) – «Ad un certo punto ti fermi e tutte le cose che ti seguono da una vita ti sbattono addosso. L’impatto, in fondo, non è così forte perché sei tu che hai deciso di fermarti e allora senti questo qualcosa che si appoggia alle tue spalle. E’ il tuo vissuto e quello dei luoghi (interiori e esteriori), che hai attraversato, quello di altre persone e quello di persone che nemmeno esistono».
Nasce da qui “Memorie sulla strada del ritorno”, lo spettacolo di Francesco Cangemi e Giuseppe Bottino, che andrà in scena stasera, alle 20:30, al Cafè Librairie, nell’ambito delle serate organizzate da Plat, rassegna di teatro Gourmet.

Dodici racconti brevi, scritti proprio da Francesco Cangemi, che in scena li accompagnerà con delle composizioni musicali eseguite da Giuseppe Bottino, quel« grande pofessionista che – racconta Francesco Cangemi – ho incontrato durante il mio cammino, ha visto note e suoni sparsi cadere disordinati dalle mie tasche e ha deciso di raccoglierli tramutandoli in qualcosa che posso indossare e che aiutano il mio passo». Racconti che nascono da un “viaggio” metaforico che è la sua vita, tanto da fargli raccontare di se stesso, alternandosi a personaggi famosi ed altri del tutto inventati.
« “Memorie sulla strada del ritorno” – spiega l’autore – nasce perché non c’avevo pensato prima, perché ho passato molti anni senza rendermi conto che in fondo io scrivo per vivere. Scrivo delle vite degli altri, della mia. Scrivo di cose che conosco, di quelle che non conosco e di quelle che non sono mai esistite. Per ora». Dopo anni lontano dal teatro Francesco Cangemi ritorna in scena, con quella voglia e quell’entusiasmo di rivivere sensazioni inspiegabili, di assaporare di nuovo quel sapore di soddisfazione e compiacimento nel sentire quell’applauso a fine spettacolo.
«Torno, con il capo chino in segno di profondo rispetto per tutto ciò che è rappresentazione scenica e un po’ per nascondere il rossore dell’emozione e di altri sentimenti tutti mescolati insieme, torno a parlare ad un pubblico dopo otto anni senza che questo faccia parte di un convegno o di qualsiasi altra cosa che ruoti intorno al mio essere giornalista. Ho i brividi e quando penso a tutto questo la mia mente non può non riaprire il ricordo della sensazione, di quella bellissima sensazione, che si ha nell’esprimersi davanti ad un pubblico. Racconto storie. Che poi in fondo è quello che ho sempre fatto».

Manca poco, dunque, per assistere a “Memorie sulla strada del ritorno”, un ritorno che Francesco Cangemi, oltre a fare soltanto col pensiero, ripercorrendo attimi della sua vita, fa soprattutto al teatro, da cui è da sempre innamorato, pur non sapendo, ancora ad oggi, quando e da dove sia nata questa forte passione. Prova a parlarne e lo fa proprio con noi. Un ripercorrere quei momenti che l’hanno fatto innamorare del palcoscenico, della recitazione e del pubblico a cui oggi, dopo ben otto anni di assenza, vuole ricominare a parlare. Questa è la sua storia.
«Il teatro, come il giornalismo, è arrivato per caso nella mia vita. Da bambino non mi dicevo cose tipo “voglio fare l’attore di teatro!” o una roba tipo “voglio fare il giornalista”.
Da ragazzino volevo fare l’avvocato (il sogno di fare il pompiere è svanito presto quando ho capito di soffrire di vertigini…), oppure lo psicologo.
All’asilo ricordo d’aver fatto due recite. In una facevo il pastore che incontra San Giuseppe e Maria, in un’altra facevo uno dei sette nani. Non ricordo quale ma ricordo che fu un disastro, mi misi a piangere in scena e mi vennero a prendere dal palco per fare la pipì. Terribile.
Alle Elementari ho rischiato d’essere il protagonista di una recita natalizia. Potevo fare Giuseppe, un ruolo importante eh ma pare che non mi sia stato assegnato perché diretto al figlio di un tipo molto importante. Nonostante il “boicottaggio da raccomandazione”, mi fecero recitare una poesia (non ricordo di chi fosse), che parlava della cattiveria dell’umanità. Era piaciuta la mia voce.
Alle Medie invece feci una recita con il catechismo. Il mio personaggio si chiama tipo “Artista” ed ebbi un bel successo o almeno così mi dissero.
Al teatro però c’ho pensato veramente quando, al Liceo stavolta, mi portarono a vedere una versione francese del “Rinoceronte” di Ionesco. Ne rimasi rapito pur capendo non proprio tutte le parole.
A 18 la mia amica Gemma mi tirò dentro una compagnia teatrale. Si chiamava Chimera e lì ho fatto la prima vera esibizione degna di questo nome. Debutto alla Casa delle culture con uno spettacolo anzi performance di quello che viene definito “terzo teatro”. Non era però il genere di teatro più adatto a me.
All’inizio degli anni Duemila mi sono avvicinato ad un’altra compagnia (lo feci perché mi piaceva una ragazza che poi non venne mai più alle prove…), era la Teatroimpegno e il regista era uno fra i più noti della vecchia scuola cosentina, Graziano Olivieri.
Preparavano una commedia del 1959 di Dario Fo, “Gli arcangeli non giocano a flipper” e io mi ritrovai a fare il protagonista! Fu bellissimo. Nel 2003, da ventenne presuntuoso, decisi di mettere su una regia. Lo spettacolo si chiamava “Giudici” ed era scritto da un autore bresciano, Renato Gabrielli. Dicono andò bene ma ovviamente era pieno di inesperienza. Poi ho lavorato con Libero Teatro di Max Mazzotta con il quale ho fatto due spettacoli “U-topos” e “Tempesta”, l’ultima mia “apparizione” in assoluto anche se sono rimasto, finché il giornalismo non mi ha rapito definitivamente, nell’orbita delle loro attività. Oggi ritorno in una rappresentazione, leggendo i miei scritti, raccontando storie che ho vissuto, storie di altri e storie senza senso».












